a cura di Virginio Corso
Prefazione
La zona centro-orientale dei colli Asolani è stata interessata dal primo conflitto mondiale principalmente nel periodo trascorso tra ottobre del 1917 e il novembre del 1918.
Le opere di difesa e di osservazione rivolte a est verso il Piave furono maggiormente bersagliate da granate e da tiri a shrapnels, da parte dell'artiglieria nemica, perché costituivano grande pericolo per l'esercito austro-ungarico trincerato lungo la sponda sinistra del fiume. L'osservatòrio Marocco, posto sulla cima del monte Sùlder, era parte integrante di queste opere.
Poco o niente viene raccontato nei libri di storia su questi luoghi; solo qualche diario e molte fotografie di allora ci "raccontano" la vita e i fatti di quel tempo. D'altronde la storia locale e di seconda linea interessa a pochi e per comprendere tanti perché talvolta si fanno congetture dettate dalla logica, per l'assenza oggi delle persone di allora.
La testimonianza reale è quell'insieme di opere (trincee, osservatori, ricoveri, gallerie,...) che possiamo osservare percorrendo i sentieri dei colli Asolani.
Il saggio che segue non è dettato dall'imposizione; vuole essere un punto d'inizio e di stimolo per essere discusso, migliorato o modificato con il contributo di chi ha ulteriori notizie e documenti in materia.
Ringraziamenti
Ringrazio l'architetto Alberto Alpago - Novello (nipote omonimo del nonno nominato in seguito), la fondazione Giovanni Angelini di Belluno per la cortesia e disponibilità prestatami durante le ricerche, mia figlia Serena per la collaborazione e tutte le persone che a vario modo hanno contribuito alla stesura del testo.
Parte I: Opere difensive in Cadore
Dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, avvenuta nel 1866, cominciarono gli studi per la costruzione di un sistema difensivo in Cadore atto a sbarrare la strada ad una eventuale invasione dell’Austria. I primi lavori eseguiti a Vigo di Cadore erano di poca consistenza e nel 1880 si preferì concepire lo sbarramento in zona più arretrata.
Tra il 1882 e il 1896 venne edificato il campo trincerato di Pieve di Cadore, noto a tanti con il nome di "Ridotto Cadorino".
Tra il 1882 e il 1896 venne edificato il campo trincerato di Pieve di Cadore, noto a tanti con il nome di "Ridotto Cadorino".
I forti di monte Ricco, Batteria Castello miravano a sbarrare la valle del Piave, mentre il forte di Col Vaccher la valle verso Cortina. Attorno ai forti venne costruito un insieme di altre opere complementari come trincee, osservatòri, postazioni per mitragliatrici, gallerie di ricovero, camminamenti… .
Già prima del termine dei lavori tutte le opere si dimostrarono obsolete per le loro dimensioni, la bassa quota, la loro visibilità e criteri costruttivi non rispondenti alle esigenze del tempo.
Il potere distruttivo delle armi aumentava sempre più: dalla palla del cannone napoleonico si era passati alle granate che avevano all’esplosione un potere dirompente mai visto ed avevano un notevole effetto psicologico sui nemici.
I forti erano per lo più costruiti con pietre del posto tenute assieme da malta, quindi poco resistenti ad un attacco a granata; il cemento armato era agli albori. I nuovi studi, dettati dai mutati parametri della scienza bellica, portarono alla progettazione di opere più moderne. Oltre al centro Cadore altre valli cominciarono a rivestire un ruolo difensivo, come la valle del Maè.
Già prima del termine dei lavori tutte le opere si dimostrarono obsolete per le loro dimensioni, la bassa quota, la loro visibilità e criteri costruttivi non rispondenti alle esigenze del tempo.
Il potere distruttivo delle armi aumentava sempre più: dalla palla del cannone napoleonico si era passati alle granate che avevano all’esplosione un potere dirompente mai visto ed avevano un notevole effetto psicologico sui nemici.
I forti erano per lo più costruiti con pietre del posto tenute assieme da malta, quindi poco resistenti ad un attacco a granata; il cemento armato era agli albori. I nuovi studi, dettati dai mutati parametri della scienza bellica, portarono alla progettazione di opere più moderne. Oltre al centro Cadore altre valli cominciarono a rivestire un ruolo difensivo, come la valle del Maè.
Le
nuove costruzioni erano munite di corazza, ad alta quota, autosufficienti ed in
grado di difendere il proprio settore anche se circondate dal nemico. Fu
realizzata la cosiddetta “Fortezza Cadore–Maè” con epicentro a Pieve di Cadore
e comprendente i forti di monte Rite e Pian dell’Antro con bocche da fuoco
verso Cortina, la val Boite, la zona di Agordo e la val Zoldana, mentre i nuovi
forti di Col Piccolo, Col Vidal, monte Tudaio dominavano gli accessi dalla val
Ansiei, dalle Tre Cime di Lavaredo, dal Comelico e dalla Mauria.
La Fortezza, dopo il 24 maggio 1915, data di entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, rimase per lo più inoffensiva, vista la distanza dal fronte; i lavori di fortificazione erano quasi tutti ultimati.
La Fortezza, dopo il 24 maggio 1915, data di entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, rimase per lo più inoffensiva, vista la distanza dal fronte; i lavori di fortificazione erano quasi tutti ultimati.
Il comando della Fortezza costituito a Pieve poco prima dell’entrata in guerra, era composto da 73 ufficiali al comando di circa 4000 uomini con 92 cannoni, i più rappresentativi dei quali erano i 149 A, 149 G, 149 S, 120 G, 120/40, 75A, 70M e la loro gittata massima non superava i 14 km. I forti erano dotati anche di mitragliatrici Gardner modello 1886 e Perino modello 1906.
Nei primi due anni e mezzo di guerra, la Fortezza si dimostrò un’opera quasi inutile e fu tenuta come riserva di uomini e mezzi da inviare al fronte. Solo verso la fine di ottobre e i primi giorni di novembre del 1917 fu usata poco e male.
Nei primi due anni e mezzo di guerra, la Fortezza si dimostrò un’opera quasi inutile e fu tenuta come riserva di uomini e mezzi da inviare al fronte. Solo verso la fine di ottobre e i primi giorni di novembre del 1917 fu usata poco e male.
Gli
eventi successi dopo la ritirata di Caporetto, iniziata il 24 ottobre 1917,
furono tali da lasciare la Fortezza praticamente intatta al nemico
austro-ungarico, mentre quest’ultimo esattamente un anno dopo, durante la sua
ritirata (battaglia di Vittorio Veneto), pensò bene di danneggiare quasi tutte
le opere costruite dagli italiani.
Dopo quasi cent’anni si possono ammirare come reperti storici. Poche sono quelle ristrutturate, soprattutto per mancanza di fondi; quelle in rovina si confondono ormai con il pietrame dei monti e quelle a bassa quota con il progredire del bosco.
Dopo quasi cent’anni si possono ammirare come reperti storici. Poche sono quelle ristrutturate, soprattutto per mancanza di fondi; quelle in rovina si confondono ormai con il pietrame dei monti e quelle a bassa quota con il progredire del bosco.
Parte II:
Antonio Marocco
Antonio Marocco nasce a Torino nel 1859 e intraprende fin da giovane la carriera militare. Sottotenente del genio nel 1878, diventa colonnello nel 1911. Nel 1911-12 è inviato in Libia, dove comanda il genio del corpo d’occupazione della Tripolitania, meritandosi la croce di Cavaliere O.M.S. (Ordine Militare di Savoia). È direttore del genio a Bologna e viene promosso maggior generale nel 1915.
A quel tempo comandante della Fortezza Cadore-Maè era il generale Giuseppe Venturi, trasferito il 21 novembre 1915 a più impegnativo comando sulla linea del fronte. Il colonnello Arturo Cheli assume il comando interinale della Fortezza fino al 20 gennaio 1916, giorno di arrivo del nuovo comandante, Antonio Marocco. Lo stesso giorno visita il forte di monte Tudaio, considerato la punta di diamante dell’intera Fortezza Cadore-Maè.
Il fronte è lontano e non impegna più di tanto gli uomini e i mezzi della Fortezza fino al giorno di Caporetto. Inquadrati nel 9° corpo della 4^ armata, dal 30 ottobre 1917 passano al 1° corpo d’armata (comandante generale Piacentini Settimio).
Il raggruppamento della Fortezza Cadore-Maè è composto dal comandante Antonio Marocco, da truppe della milizia territoriale e presidiarie, dal comando del 2° battaglione dell’11° Bersaglieri, dal 2° battaglione del 7° Bersaglieri e da un gruppo Artiglieria da montagna. Compito del gruppo della Fortezza è quello di sbarrare le valli dell’Ansiei, del Piave e del Boite, presidiando la linea Mauria-Altopiano di Razzo-Cresta Popera-Val Grande-monte Tudaio- Col Vidal-Pian dell’Antro-monte Rite.
Il giorno 3 novembre 1917, il generale Piacentini ordina (n° 1949 di protocollo Operativo) al comandante della Fortezza Cadore-Maè la ritirata a Tai e impartisce le disposizioni per l’arretramento fino allo sbocco del Piave in pianura. Avverte però che le milizie territoriali e presidiarie della Fortezza devono rimanere sul posto. Contemporaneamente emana ulteriori disposizioni (n° 1954 di prot. Op.) per accelerare l’arretramento fino a Tai e la successiva marcia alla volta di Belluno e Cornuda.
Si pensava quindi di mantenere le posizioni della Fortezza Cadore-Maè a copertura della ritirata del 1° corpo d’armata.
Antonio Marocco nasce a Torino nel 1859 e intraprende fin da giovane la carriera militare. Sottotenente del genio nel 1878, diventa colonnello nel 1911. Nel 1911-12 è inviato in Libia, dove comanda il genio del corpo d’occupazione della Tripolitania, meritandosi la croce di Cavaliere O.M.S. (Ordine Militare di Savoia). È direttore del genio a Bologna e viene promosso maggior generale nel 1915.
A quel tempo comandante della Fortezza Cadore-Maè era il generale Giuseppe Venturi, trasferito il 21 novembre 1915 a più impegnativo comando sulla linea del fronte. Il colonnello Arturo Cheli assume il comando interinale della Fortezza fino al 20 gennaio 1916, giorno di arrivo del nuovo comandante, Antonio Marocco. Lo stesso giorno visita il forte di monte Tudaio, considerato la punta di diamante dell’intera Fortezza Cadore-Maè.
Il fronte è lontano e non impegna più di tanto gli uomini e i mezzi della Fortezza fino al giorno di Caporetto. Inquadrati nel 9° corpo della 4^ armata, dal 30 ottobre 1917 passano al 1° corpo d’armata (comandante generale Piacentini Settimio).
Il raggruppamento della Fortezza Cadore-Maè è composto dal comandante Antonio Marocco, da truppe della milizia territoriale e presidiarie, dal comando del 2° battaglione dell’11° Bersaglieri, dal 2° battaglione del 7° Bersaglieri e da un gruppo Artiglieria da montagna. Compito del gruppo della Fortezza è quello di sbarrare le valli dell’Ansiei, del Piave e del Boite, presidiando la linea Mauria-Altopiano di Razzo-Cresta Popera-Val Grande-monte Tudaio- Col Vidal-Pian dell’Antro-monte Rite.
Il giorno 3 novembre 1917, il generale Piacentini ordina (n° 1949 di protocollo Operativo) al comandante della Fortezza Cadore-Maè la ritirata a Tai e impartisce le disposizioni per l’arretramento fino allo sbocco del Piave in pianura. Avverte però che le milizie territoriali e presidiarie della Fortezza devono rimanere sul posto. Contemporaneamente emana ulteriori disposizioni (n° 1954 di prot. Op.) per accelerare l’arretramento fino a Tai e la successiva marcia alla volta di Belluno e Cornuda.
Si pensava quindi di mantenere le posizioni della Fortezza Cadore-Maè a copertura della ritirata del 1° corpo d’armata.
Il Ridotto Cadorino, originariamente concepito presidiato anche in caso di abbandono temporaneo dal Cadore, forte della sua autonomia di 3-4 mesi, non sembra più poter rispondere alle attuali esigenze. Ulteriori disposizioni vengono date (n° 1955 di prot. Op.) alle truppe dell’ala destra della Fortezza per la ritirata su altre posizioni. Piacentini, il 6 novembre 1917 (n° 1968 di prot. Op.), dà disposizioni che fino a tutto il 10 novembre sarebbe stato compito della Fortezza Cadore-Maè evitare violazioni nemiche della linea gialla (linea di resistenza estrema) e solo nelle prime ore dell’11 dovevano ripiegare, costituendo una forte retroguardia per tutta la colonna. La marcia su Cornuda, iniziata la notte del 10, è prevista senza soste, tranne quelle strettamente necessarie per il riposo.
Il generale Antonio Marocco, a capo della colonna, sarebbe stato responsabile anche del brillamento e delle varie interruzioni di sua spettanza e una volta partito l’ultimo treno da Calalzo il giorno 9 avrebbe danneggiato la linea ferroviaria Calalzo-Belluno, inaugurata appena tre anni prima, il 18 maggio 1914.
Il generale Antonio Marocco, a capo della colonna, sarebbe stato responsabile anche del brillamento e delle varie interruzioni di sua spettanza e una volta partito l’ultimo treno da Calalzo il giorno 9 avrebbe danneggiato la linea ferroviaria Calalzo-Belluno, inaugurata appena tre anni prima, il 18 maggio 1914.
La sera del 6 novembre le truppe della Fortezza Cadore-Maè erano schierate sulla linea gialla. Nella notte del 6 e per tutto il 7 i cannoni di forte Tudaio sparano sulle posizioni nemiche di monte Croce e monte Cavallino. Aspri sono gli scontri col nemico su tutto il fronte Cadorino.
Tra gli ultimi a ritirarsi dai monti sono i volontari alpini del Cadore che scendono a Calalzo dalla val Talagona la notte tra il 7 e l’8. Ricevono l’ordine dal generale Marocco di difendere il paese contro le provenienze nemiche da Sottocastello.
Tutti i presidi della Fortezza, esaurito il bombardamento del giorno 8, abbandonano le loro posizioni in fretta, lasciando le opere e l'armamento quasi intatti. La mattina dell’8 sono danneggiati la stazione di Calalzo e un buon tratto di binari della linea ferroviaria.
Il pomeriggio dell’8 vede il nemico entrare a Calalzo e la mattina del 9 gli ultimi dei nostri fanno saltare il ponte sul Boite a Perarolo.
Il procedere delle truppe dal Cadore lungo la valle del Piave è lento e caotico, parecchi sono i reparti italiani imbottigliati presso Longarone ed Erto a causa delle truppe nemiche transitate per il passo di San Osvaldo. Alle ore 9 dello stesso giorno il generale Marocco ordina al maggior generale Enrico Nassi di costituire una retroguardia nei dintorni di Longarone, con il compito di contrastare l’avanzata del nemico da val Maè e val Vajont.
Anche il comando del 1° corpo d’armata cerca di disporre per il 7 novembre la costituzione di una retroguardia a Rivalgo e a Termine per proteggere il ripiegamento delle truppe della Fortezza.
Nella notte del 9 i volontari alpini del Cadore, dopo vari combattimenti, sfuggono all’accerchiamento nemico di Longarone. Riescono a raggiungere Sedico prima, Montebelluna poi, per dar vita ad un nuovo reparto con i volontari alpini di Feltre.
In quei giorni la colonna Marocco subisce la distruzione del 23° battaglione fanteria e dell’8° bersaglieri. La situazione della retroguardia della colonna è disperata e senza contatto con il comando diventa problematico il suo compito, vale a dire la protezione della ritirata del 1° corpo d’armata.
Il generale Marocco parte alle ore 11 del 9 novembre da Longarone per Sedico e il 10 arriva a Feltre con il comando della Fortezza.
Molti reparti rimangono isolati, tanto da indurre il Generale ad un rallentamento del ripiegamento.
Il comando della colonna Marocco, la mattina del 12, si trasferisce a Valstagna e può trarre i primi bilanci: oltre alla morte di tre ufficiali superiori, si arriva per alcuni reparti a perdite del 60% degli effettivi e, cosa non trascurabile, in mano al nemico sono caduti anche documenti segreti fra cui copia del cifrario “Z” fornito dalla 4^ armata, un sistema di comunicazione segreta fra i vari reparti in prima linea.
Il bollettino del comando supremo austro-ungarico del 12 novembre recita: "Poderosa azione con la collaborazione tra truppe di montagna Württemberg ed austro-ungariche sbarrò la strada al nemico in ritirata presso Longarone. 10000 italiani si dovettero arrendere; venne catturato innumerevole materiale bellico e d'artiglieria."
Il giorno 13 il generale Piacentini (n° 2044 di prot. Op.) ordina alle truppe e ai servizi già costituenti il presidio della Fortezza Cadore-Maè di raccogliersi a Riese agli ordini del generale Marocco.
Assolto questo compito, Marocco diventa comandante del genio della 5^ armata dal 27 dicembre 1917 e comandante del genio della 7^ armata dal 25 febbraio del 1918. Continua il suo operato nella pubblica amministrazione e passa infine nella riserva. Muore a Bologna nel 1922.
Tra gli ultimi a ritirarsi dai monti sono i volontari alpini del Cadore che scendono a Calalzo dalla val Talagona la notte tra il 7 e l’8. Ricevono l’ordine dal generale Marocco di difendere il paese contro le provenienze nemiche da Sottocastello.
Tutti i presidi della Fortezza, esaurito il bombardamento del giorno 8, abbandonano le loro posizioni in fretta, lasciando le opere e l'armamento quasi intatti. La mattina dell’8 sono danneggiati la stazione di Calalzo e un buon tratto di binari della linea ferroviaria.
Il pomeriggio dell’8 vede il nemico entrare a Calalzo e la mattina del 9 gli ultimi dei nostri fanno saltare il ponte sul Boite a Perarolo.
Il procedere delle truppe dal Cadore lungo la valle del Piave è lento e caotico, parecchi sono i reparti italiani imbottigliati presso Longarone ed Erto a causa delle truppe nemiche transitate per il passo di San Osvaldo. Alle ore 9 dello stesso giorno il generale Marocco ordina al maggior generale Enrico Nassi di costituire una retroguardia nei dintorni di Longarone, con il compito di contrastare l’avanzata del nemico da val Maè e val Vajont.
Anche il comando del 1° corpo d’armata cerca di disporre per il 7 novembre la costituzione di una retroguardia a Rivalgo e a Termine per proteggere il ripiegamento delle truppe della Fortezza.
Nella notte del 9 i volontari alpini del Cadore, dopo vari combattimenti, sfuggono all’accerchiamento nemico di Longarone. Riescono a raggiungere Sedico prima, Montebelluna poi, per dar vita ad un nuovo reparto con i volontari alpini di Feltre.
In quei giorni la colonna Marocco subisce la distruzione del 23° battaglione fanteria e dell’8° bersaglieri. La situazione della retroguardia della colonna è disperata e senza contatto con il comando diventa problematico il suo compito, vale a dire la protezione della ritirata del 1° corpo d’armata.
Il generale Marocco parte alle ore 11 del 9 novembre da Longarone per Sedico e il 10 arriva a Feltre con il comando della Fortezza.
Molti reparti rimangono isolati, tanto da indurre il Generale ad un rallentamento del ripiegamento.
Il comando della colonna Marocco, la mattina del 12, si trasferisce a Valstagna e può trarre i primi bilanci: oltre alla morte di tre ufficiali superiori, si arriva per alcuni reparti a perdite del 60% degli effettivi e, cosa non trascurabile, in mano al nemico sono caduti anche documenti segreti fra cui copia del cifrario “Z” fornito dalla 4^ armata, un sistema di comunicazione segreta fra i vari reparti in prima linea.
Il bollettino del comando supremo austro-ungarico del 12 novembre recita: "Poderosa azione con la collaborazione tra truppe di montagna Württemberg ed austro-ungariche sbarrò la strada al nemico in ritirata presso Longarone. 10000 italiani si dovettero arrendere; venne catturato innumerevole materiale bellico e d'artiglieria."
Il giorno 13 il generale Piacentini (n° 2044 di prot. Op.) ordina alle truppe e ai servizi già costituenti il presidio della Fortezza Cadore-Maè di raccogliersi a Riese agli ordini del generale Marocco.
Assolto questo compito, Marocco diventa comandante del genio della 5^ armata dal 27 dicembre 1917 e comandante del genio della 7^ armata dal 25 febbraio del 1918. Continua il suo operato nella pubblica amministrazione e passa infine nella riserva. Muore a Bologna nel 1922.
Parte III:
Alberto Alpago - Novello
Alberto Alpago-Novello nasce a Feltre il 27 giugno 1889, laureatosi presso il politecnico di Milano nel 1912, l'anno seguente si diploma all'accademia di Brera.
Viene nominato sottotenente di complemento per servizi tecnici del genio il 18 marzo 1915, poco più di due mesi dall'entrata in guerra dell' Italia nel primo conflitto mondiale.
Inizia il servizio il 1°aprile 1915 presso il 7° alpini per 15 giorni, poi assegnato all'ufficio autonomo delle fortificazioni di Belluno (sezione di Venas), addetto a lavori difensivi in val Boite e in val Maè. Viene mobilitato in detto ufficio all'entrata in guerra dell'Italia.
Dal 24 gennaio 1916 passa alla dipendenza tecnica del comando genio 9° corpo d'armata (cima Lana e quindi al tracciamento e costruzione della strada Digonera - Col da Daut - monte Foppa).
Ai primi di marzo 1916 si ammala di tifo ed entra all'ospedale someggiato di Digonera, poi all'ospedale da campo di Alleghe e successivamente a quello di Crocetta del Montello. Il 18 maggio rientra ai lavori Digonera - Col da Daut.
Viene nominato tenente nel maggio 1916 e richiamato dall'ufficio fortificazioni, il 22 luglio 1916 viene messo alle dipendenze del comando genio Fortezza Cadore-Maè, mobilitato per lavori stradali e difensivi in val Maè (camionabile Dont-passo Duran; Forno di Zoldo-col Baion: Forno-forcella Cibiana; caverne per artiglieria allo Spiz Zuel e a monte Punta......).
Alberto Alpago-Novello nasce a Feltre il 27 giugno 1889, laureatosi presso il politecnico di Milano nel 1912, l'anno seguente si diploma all'accademia di Brera.
Viene nominato sottotenente di complemento per servizi tecnici del genio il 18 marzo 1915, poco più di due mesi dall'entrata in guerra dell' Italia nel primo conflitto mondiale.
Inizia il servizio il 1°aprile 1915 presso il 7° alpini per 15 giorni, poi assegnato all'ufficio autonomo delle fortificazioni di Belluno (sezione di Venas), addetto a lavori difensivi in val Boite e in val Maè. Viene mobilitato in detto ufficio all'entrata in guerra dell'Italia.
Dal 24 gennaio 1916 passa alla dipendenza tecnica del comando genio 9° corpo d'armata (cima Lana e quindi al tracciamento e costruzione della strada Digonera - Col da Daut - monte Foppa).
Ai primi di marzo 1916 si ammala di tifo ed entra all'ospedale someggiato di Digonera, poi all'ospedale da campo di Alleghe e successivamente a quello di Crocetta del Montello. Il 18 maggio rientra ai lavori Digonera - Col da Daut.
Viene nominato tenente nel maggio 1916 e richiamato dall'ufficio fortificazioni, il 22 luglio 1916 viene messo alle dipendenze del comando genio Fortezza Cadore-Maè, mobilitato per lavori stradali e difensivi in val Maè (camionabile Dont-passo Duran; Forno di Zoldo-col Baion: Forno-forcella Cibiana; caverne per artiglieria allo Spiz Zuel e a monte Punta......).
Il 7 maggio1917 è capo dell'ufficio lavori genio di San Vito: costruzione linea difensiva Cuzze-Cancia-Antelao e sbarramenti Forcella Grande e Forcella Piccola; strada a Tre Croci-val Forca. Numerose sono le sue fotografie di fine maggio 1917 in una sua visita al monte Tudaio e in val di Cuzze.
La "rotta di Caporetto", iniziata il 24 ottobre 1917 coglieva di sorpresa l'intero schieramento italiano; la ritirata dal fronte dolomitico fu lenta e caotica.
Anche il tenente Alpago-Novello fu colto dagli eventi a Digonera, dove il 6 novembre lo raggiunse un fonogramma per un immediato ripiegamento verso la linea del Piave. Rocambolesco il suo viaggio. Partito in bicicletta da Venas alle ore 10 del 7 novembre sale su un treno merci a Longarone e giunge a Feltre il mattino dell'8. Nel pomeriggio prende un carreggio fino al ponte sul Piave nei pressi della stazione ferroviaria di Quero e in bicicletta si reca a Valdobbiadene. Il giorno 9 sempre in bicicletta parte da Valdobbiadene e via ponte di Vidor si reca a Montebelluna, comando di tappa e quindi a Cornuda, destinazione del suo ripiegamento e anello di congiunzione tra la linea difensiva del Grappa e quella del medio e basso Piave. Passa quindi al 2° ufficio della direzione 1^ zona (linee difensive di Cornuda, di Vettorazzi, di Castelli). Il 10 novembre con il suo comandante maggiore visita il tratto di linea e la stesa dei reticolati tra la stazione di Cornuda e Nogarè. Dal giorno 12, con due centurie dirige la costruzione del fortino presso la stazione ferroviaria e della trincea principale tra Nogarè, monte Palazzo, monte Fagarè, Castelli, val Cavasia e le pendici del Monfenera.
Alle ore 20 del 10 novembre, per fermare l'avanzata delle truppe austro-ungariche, alcune arcate del ponte sul Piave a Vidor sono fatte brillare dagli italiani.
In un secondo tempo, a fine guerra, il tenente annota:”Qui ebbi la sensazione che sulla Piave il disastro si fosse fermato: provvidenziale risultò la linea Cadorna, sul Grappa e adiacenze, con strada, acquedotto ecc.. Tuttavia ci furono episodi di panico; tra questi la fuga degli operai militarizzati dalla piazza di Cornuda dopo gli shrapnels....Poi il trasferimento di tutti i nostri del genio militare nel baraccone all'inizio della salita al monte Tomba (costruzione di Dal Fabbro). In cambio ottimo e assai coraggioso Tazzer, agordino e con lui ispeziono la stesa dei reticolati e il fortino nella stazione ferroviaria. Però non sapevo di fronteggiare a Cornuda la tremenda armata germanica di Caporetto, che evidentemente si era alquanto stancata e stava per andarsene”.
Dal 25 novembre 1917 passa alla 3^ sezione, dal 21 gennaio 1918 alla 1^ sezione della 1^ sottodirezione 1^ zona (linee dei colli asolani, osservatorio Collalto, ecc.).
Numerose le testimonianze fotografiche che ci ha tramandato durante la sua permanenza sui colli Asolani e a Cornuda: panorami del monte Grappa, Tomba, Monfenera, Cesen per lo più ripresi dal Colle Argenta e dal Collalto verso la fine del 1917.
Il 28 gennaio 1918 riprende dei militari italiani e francesi in osservazione con un periscopio sul monte Collalto, il 3 marzo dei militari sul crocicchio di Cornuda e davanti alla chiesa distrutta dai bombardamenti e nello stesso mese i lavori inerenti la costruzione della strada Maser e l'attuale forcella Mostaccin, il re Vittorio Emanuele III e la principessa Yolanda dopo la visita all'osservatorio sul monte Collalto. Dal 6 aprile 1918 al 27 maggio1918 è assegnato al comando genio della 2^ armata.
Dal 27 maggio 1918 al 22 agosto 1918 alla 3^ sezione (Povegliano-Ponzano-Montello-Visnadello: difese e strade) della direzione lavori 3^ zona; quindi alla direzione stessa. Viene promosso capitano nel luglio 1918 e dal 29 settembre passa al comando della 209^ compagnia zappatori (79° battaglione, 2° genio) (strada Era Grande-Palazzo Neville; Montello; ponte di villa Berti a Nervesa).
Cessato lo stato di guerra il 4 novembre 1918 viene trasferito l' 11 aprile 1919 alla direzione lavori 18^ zona (Belluno). Il 1 agosto 1919 passa al 5° genio e posto in congedo il 6 settembre 1919. Durante la sua partecipazione al conflitto documenta non solo i lavori militari ma pure gli aspetti civili ed umani del periodo; può essere considerato uno dei più grandi fotografi di guerra del 900.
Di ritorno alla vita borghese apre uno studio a Milano: elabora piani regolatori di molte città italiane, progetta chiese, palazzi e monumenti in tutta Italia, a Bengasi e Tripoli, è autore di importanti saggi di storia, archeologia ed urbanistica. E' ritenuto uno dei principali esponenti dell'architettura coloniale ufficiale.
Coltiva profondi interessi per il mondo antico, dalla preistoria all'età romana, ponendo particolare attenzione ai sistemi romani di reti viarie da Altino alle montagne. Si dedica con passione anche all'arte della costruzione degli orologi solari.
Gli viene conferita la qualifica di 1° capitano del genio di complemento con decorrenza 28 luglio 1930 e quella di maggiore in data 1 marzo 1935. Muore a Frontin di Trichiana il 6 settembre 1985.
La "rotta di Caporetto", iniziata il 24 ottobre 1917 coglieva di sorpresa l'intero schieramento italiano; la ritirata dal fronte dolomitico fu lenta e caotica.
Anche il tenente Alpago-Novello fu colto dagli eventi a Digonera, dove il 6 novembre lo raggiunse un fonogramma per un immediato ripiegamento verso la linea del Piave. Rocambolesco il suo viaggio. Partito in bicicletta da Venas alle ore 10 del 7 novembre sale su un treno merci a Longarone e giunge a Feltre il mattino dell'8. Nel pomeriggio prende un carreggio fino al ponte sul Piave nei pressi della stazione ferroviaria di Quero e in bicicletta si reca a Valdobbiadene. Il giorno 9 sempre in bicicletta parte da Valdobbiadene e via ponte di Vidor si reca a Montebelluna, comando di tappa e quindi a Cornuda, destinazione del suo ripiegamento e anello di congiunzione tra la linea difensiva del Grappa e quella del medio e basso Piave. Passa quindi al 2° ufficio della direzione 1^ zona (linee difensive di Cornuda, di Vettorazzi, di Castelli). Il 10 novembre con il suo comandante maggiore visita il tratto di linea e la stesa dei reticolati tra la stazione di Cornuda e Nogarè. Dal giorno 12, con due centurie dirige la costruzione del fortino presso la stazione ferroviaria e della trincea principale tra Nogarè, monte Palazzo, monte Fagarè, Castelli, val Cavasia e le pendici del Monfenera.
Alle ore 20 del 10 novembre, per fermare l'avanzata delle truppe austro-ungariche, alcune arcate del ponte sul Piave a Vidor sono fatte brillare dagli italiani.
In un secondo tempo, a fine guerra, il tenente annota:”Qui ebbi la sensazione che sulla Piave il disastro si fosse fermato: provvidenziale risultò la linea Cadorna, sul Grappa e adiacenze, con strada, acquedotto ecc.. Tuttavia ci furono episodi di panico; tra questi la fuga degli operai militarizzati dalla piazza di Cornuda dopo gli shrapnels....Poi il trasferimento di tutti i nostri del genio militare nel baraccone all'inizio della salita al monte Tomba (costruzione di Dal Fabbro). In cambio ottimo e assai coraggioso Tazzer, agordino e con lui ispeziono la stesa dei reticolati e il fortino nella stazione ferroviaria. Però non sapevo di fronteggiare a Cornuda la tremenda armata germanica di Caporetto, che evidentemente si era alquanto stancata e stava per andarsene”.
Dal 25 novembre 1917 passa alla 3^ sezione, dal 21 gennaio 1918 alla 1^ sezione della 1^ sottodirezione 1^ zona (linee dei colli asolani, osservatorio Collalto, ecc.).
Numerose le testimonianze fotografiche che ci ha tramandato durante la sua permanenza sui colli Asolani e a Cornuda: panorami del monte Grappa, Tomba, Monfenera, Cesen per lo più ripresi dal Colle Argenta e dal Collalto verso la fine del 1917.
Il 28 gennaio 1918 riprende dei militari italiani e francesi in osservazione con un periscopio sul monte Collalto, il 3 marzo dei militari sul crocicchio di Cornuda e davanti alla chiesa distrutta dai bombardamenti e nello stesso mese i lavori inerenti la costruzione della strada Maser e l'attuale forcella Mostaccin, il re Vittorio Emanuele III e la principessa Yolanda dopo la visita all'osservatorio sul monte Collalto. Dal 6 aprile 1918 al 27 maggio1918 è assegnato al comando genio della 2^ armata.
Dal 27 maggio 1918 al 22 agosto 1918 alla 3^ sezione (Povegliano-Ponzano-Montello-Visnadello: difese e strade) della direzione lavori 3^ zona; quindi alla direzione stessa. Viene promosso capitano nel luglio 1918 e dal 29 settembre passa al comando della 209^ compagnia zappatori (79° battaglione, 2° genio) (strada Era Grande-Palazzo Neville; Montello; ponte di villa Berti a Nervesa).
Cessato lo stato di guerra il 4 novembre 1918 viene trasferito l' 11 aprile 1919 alla direzione lavori 18^ zona (Belluno). Il 1 agosto 1919 passa al 5° genio e posto in congedo il 6 settembre 1919. Durante la sua partecipazione al conflitto documenta non solo i lavori militari ma pure gli aspetti civili ed umani del periodo; può essere considerato uno dei più grandi fotografi di guerra del 900.
Di ritorno alla vita borghese apre uno studio a Milano: elabora piani regolatori di molte città italiane, progetta chiese, palazzi e monumenti in tutta Italia, a Bengasi e Tripoli, è autore di importanti saggi di storia, archeologia ed urbanistica. E' ritenuto uno dei principali esponenti dell'architettura coloniale ufficiale.
Coltiva profondi interessi per il mondo antico, dalla preistoria all'età romana, ponendo particolare attenzione ai sistemi romani di reti viarie da Altino alle montagne. Si dedica con passione anche all'arte della costruzione degli orologi solari.
Gli viene conferita la qualifica di 1° capitano del genio di complemento con decorrenza 28 luglio 1930 e quella di maggiore in data 1 marzo 1935. Muore a Frontin di Trichiana il 6 settembre 1985.
Parte IV: Osservatòrio Marocco
Le colline che incontriamo a nord della strada che da Cornuda porta ad Asolo sono comunemente note come “Colli Asolani”.
Le colline che incontriamo a nord della strada che da Cornuda porta ad Asolo sono comunemente note come “Colli Asolani”.
Le
propaggini più elevate sono: il monte Collalto (m. 498), il monte Calmoreggio
(m. 487) e il monte Sùlder (m. 472). Il crinale a sud di quest’ultimo, per un
buon tratto, costituisce confine tra i comuni di Cornuda e Maser e sulla sua
cima possiamo osservare i resti dell’osservatòrio Marocco.
La catena di colline lunga una decina di chilometri è composta per lo più da arenaria e calcari e l’habitat attuale è formato in maggioranza da foresta caducifoglia.
Durante la Grande Guerra vennero costruite varie opere militari di difesa, specie nella parte orientale della catena collinare.
Oltre all’osservatòrio Marocco, sul monte Collalto venne costruito l’osservatòrio Tazzer.
Gli osservatòri principali erano supportati da altri punti di osservazione, da trincee, da ricoveri e da teleferiche. Poche decine di metri ad ovest dell’osservatòrio Marocco, lungo il sentiero 74 (vedi cartina Colli Asolani, Maserini e Cornudesi “Le montagnole”), troviamo in sequenza altri due osservatòri, il primo dei quali, vista la sua conformazione, si suppone essere stato sede di una postazione antiaerea.
A sud, lungo il sentiero 72 ci sono altri due osservatòri: il primo è stato parzialmente rovinato dai lavori di posa in opera del metanodotto Vedelago-Fonzaso che nei primi anni novanta ha attraversato le colline e ne rimane solo la galleria di ingresso lato ovest, mentre il secondo in discreto stato di conservazione presenta la galleria di ingresso crollata , sempre per detti lavori.
L’osservatòrio Marocco era punto di osservazione dei movimenti del nemico in direzione ponte di Vidor e quindi in grado di coordinare il tiro delle artiglierie, sparse in varie zone di Cornuda e dei comuni limitrofi, verso il nemico posto sulla sponda sinistra del Piave. L’angolo di osservazione del complesso Marocco è di circa 240°: comprende il Monfenera, la vallata del Piave dallo sbocco in pianura fino a Nervesa e quasi tutta la parte nord del Montello fino a Biadene.
A Cornuda alcuni lavori di difesa furono fatti all’inizio del 1917 sotto il controllo del colonnello Antonio Dal Fabbro, direttore dei lavori di difesa sul Grappa. In una sua relazione del giugno 1922, richiesta dal colonnello Alberti e inviata all’ufficio storico, si parla di “lavori fatti eseguire sul Tomba e sul Monfenera, a Cornuda, sul Montello ed attorno a Treviso nella primavera e nell’estate del 1917 contemporaneamente cioè a quelli del Grappa” <1>.
La catena di colline lunga una decina di chilometri è composta per lo più da arenaria e calcari e l’habitat attuale è formato in maggioranza da foresta caducifoglia.
Durante la Grande Guerra vennero costruite varie opere militari di difesa, specie nella parte orientale della catena collinare.
Oltre all’osservatòrio Marocco, sul monte Collalto venne costruito l’osservatòrio Tazzer.
Gli osservatòri principali erano supportati da altri punti di osservazione, da trincee, da ricoveri e da teleferiche. Poche decine di metri ad ovest dell’osservatòrio Marocco, lungo il sentiero 74 (vedi cartina Colli Asolani, Maserini e Cornudesi “Le montagnole”), troviamo in sequenza altri due osservatòri, il primo dei quali, vista la sua conformazione, si suppone essere stato sede di una postazione antiaerea.
A sud, lungo il sentiero 72 ci sono altri due osservatòri: il primo è stato parzialmente rovinato dai lavori di posa in opera del metanodotto Vedelago-Fonzaso che nei primi anni novanta ha attraversato le colline e ne rimane solo la galleria di ingresso lato ovest, mentre il secondo in discreto stato di conservazione presenta la galleria di ingresso crollata , sempre per detti lavori.
L’osservatòrio Marocco era punto di osservazione dei movimenti del nemico in direzione ponte di Vidor e quindi in grado di coordinare il tiro delle artiglierie, sparse in varie zone di Cornuda e dei comuni limitrofi, verso il nemico posto sulla sponda sinistra del Piave. L’angolo di osservazione del complesso Marocco è di circa 240°: comprende il Monfenera, la vallata del Piave dallo sbocco in pianura fino a Nervesa e quasi tutta la parte nord del Montello fino a Biadene.
A Cornuda alcuni lavori di difesa furono fatti all’inizio del 1917 sotto il controllo del colonnello Antonio Dal Fabbro, direttore dei lavori di difesa sul Grappa. In una sua relazione del giugno 1922, richiesta dal colonnello Alberti e inviata all’ufficio storico, si parla di “lavori fatti eseguire sul Tomba e sul Monfenera, a Cornuda, sul Montello ed attorno a Treviso nella primavera e nell’estate del 1917 contemporaneamente cioè a quelli del Grappa” <1>.
I lavori di difesa sui colli Asolani erano stati di poco conto a quel tempo, in quanto tutti i lavori fatti eseguire da Cadorna sul massiccio del Grappa prevedevano la difesa fronte ovest e quindi un attacco del nemico dalla Valsugana e non dalla valle del Piave. Già a settembre del 1916, in previsione di una possibile ritirata dell'esercito italiano, il generale Cadorna impartisce al colonello Antonio Dal Fabbro le direttive per le opere del Grappa e Altipiani da farsi in val Brenta tra Primolano e Carpenè e sul massiccio del Grappa. Il 7 ottobre 1917 ispeziona i lavori eseguiti sul massiccio del Grappa e impartisce l'ordine a Dal Fabbro di prestare maggior cura alle opere di difesa rivolte a nord <2>.
La maggior parte dei lavori sulla zona collinare Cornuda–Maser fu fatta alla fine del 1917 e nei primi mesi del 1918, deduzione che possiamo trarre mettendo in relazione lo stato di servizio del tenente Alberto Alpago-Novello, inquadrato fin dall'inizio della guerra nei servizi tecnici del genio, con alcune sue fotografie eseguite sui colli Asolani.
L’aviazione della 14^ armata tedesca, nei giorni 28-29 novembre 1917, esegue una ricognizione tra il monte Tomba ed il Montello e nel rapporto del 30 novembre indica come possibile punto di sfondamento l’area tra Cornuda e il Tomba con direttrice Castelfranco, dove si ipotizza una seconda linea difensiva in costruzione. Il rapporto del comando dell’aviazione dice: “temporaneamente nessun segno di intenzioni offensive del nemico. Particolare valore viene posto al rinforzo delle difese tra il monte Tomba e il monte Sùlder, tra il Sùlder e il Montello. Del resto il nemico prepara le sue installazioni difensive per un attacco proveniente da nord: posizioni nella zona del Sùlder, dietro queste posizioni Treviso-Fontaniva, forti ammassamenti nella zona a nord e a nord-ovest del monte Sùlder” <3>.
Cornuda e la spianata verso Covolo erano considerate, dagli strateghi del comando supremo,due settori dove il nemico avrebbe potuto tentare il passaggio del Piave in direzione Montebelluna.
In una carta topografica austro-ungarica, datata 8 febbraio 1918, bottino di guerra delle truppe italiane dopo la battaglia di Vittorio Veneto, possiamo osservare la dislocazione delle nostre artiglierie e delle opere di difesa nella zona di Cornuda, frutto delle ricognizioni dell'aviazione nemica.
Varie erano le trincee e le gallerie posizionate nei pressi dell'osservatòrio Marocco, mentre sul versante a sud-ovest l'osservatòrio era protetto da una doppia fila di reticolati paralleli posti a quota 400 metri sul livello del mare.
La strada nella valle di San Lorenzo (località di Cornuda denominata di San Sebastiano dagli austro-ungarici) e quella che porta sotto cima Sùlder sono date in costruzione, segno evidente che i lavori furono eseguiti tra la fine del 1917 e i primi mesi del 1918, anno che troviamo inciso anche sulla lapide all'interno dell'osservatòrio Marocco.
La prima presenta ancora oggi un buon tratto in lastricato di pietra, da sembrare ai più profani una strada dell'antica Roma. La costruzione delle strade era affidata ai militari del genio, agli operai militarizzati e ai prigionieri di guerra. I lavori erano per lo più eseguiti a mano.
Dopo il tracciamento gli sterratori provvedevano a togliere la terra dalla roccia con picconi e badili, spostando con delle leve tutte le rocce che potevano essere rimosse. Nei massi compatti, con l'ausilio di perforatrici pneumatiche, venivano praticati dei fori per lo più verticali della lunghezza di 70/80 centimetri e del diametro di circa 4 dove veniva inserito l'esplosivo e fatto brillare. La roccia di risulta veniva selezionata; quella idonea veniva squadrata per edificare muri a secco oppure usata per il contenimento di materiale franoso su piccoli valloni. Dopo quasi un secolo dalla loro costruzione è possibile ammirare alcuni di questi lavori ancora in discreto stato di conservazione.
La maggior parte dei lavori sulla zona collinare Cornuda–Maser fu fatta alla fine del 1917 e nei primi mesi del 1918, deduzione che possiamo trarre mettendo in relazione lo stato di servizio del tenente Alberto Alpago-Novello, inquadrato fin dall'inizio della guerra nei servizi tecnici del genio, con alcune sue fotografie eseguite sui colli Asolani.
L’aviazione della 14^ armata tedesca, nei giorni 28-29 novembre 1917, esegue una ricognizione tra il monte Tomba ed il Montello e nel rapporto del 30 novembre indica come possibile punto di sfondamento l’area tra Cornuda e il Tomba con direttrice Castelfranco, dove si ipotizza una seconda linea difensiva in costruzione. Il rapporto del comando dell’aviazione dice: “temporaneamente nessun segno di intenzioni offensive del nemico. Particolare valore viene posto al rinforzo delle difese tra il monte Tomba e il monte Sùlder, tra il Sùlder e il Montello. Del resto il nemico prepara le sue installazioni difensive per un attacco proveniente da nord: posizioni nella zona del Sùlder, dietro queste posizioni Treviso-Fontaniva, forti ammassamenti nella zona a nord e a nord-ovest del monte Sùlder” <3>.
Cornuda e la spianata verso Covolo erano considerate, dagli strateghi del comando supremo,due settori dove il nemico avrebbe potuto tentare il passaggio del Piave in direzione Montebelluna.
In una carta topografica austro-ungarica, datata 8 febbraio 1918, bottino di guerra delle truppe italiane dopo la battaglia di Vittorio Veneto, possiamo osservare la dislocazione delle nostre artiglierie e delle opere di difesa nella zona di Cornuda, frutto delle ricognizioni dell'aviazione nemica.
Varie erano le trincee e le gallerie posizionate nei pressi dell'osservatòrio Marocco, mentre sul versante a sud-ovest l'osservatòrio era protetto da una doppia fila di reticolati paralleli posti a quota 400 metri sul livello del mare.
La strada nella valle di San Lorenzo (località di Cornuda denominata di San Sebastiano dagli austro-ungarici) e quella che porta sotto cima Sùlder sono date in costruzione, segno evidente che i lavori furono eseguiti tra la fine del 1917 e i primi mesi del 1918, anno che troviamo inciso anche sulla lapide all'interno dell'osservatòrio Marocco.
La prima presenta ancora oggi un buon tratto in lastricato di pietra, da sembrare ai più profani una strada dell'antica Roma. La costruzione delle strade era affidata ai militari del genio, agli operai militarizzati e ai prigionieri di guerra. I lavori erano per lo più eseguiti a mano.
Dopo il tracciamento gli sterratori provvedevano a togliere la terra dalla roccia con picconi e badili, spostando con delle leve tutte le rocce che potevano essere rimosse. Nei massi compatti, con l'ausilio di perforatrici pneumatiche, venivano praticati dei fori per lo più verticali della lunghezza di 70/80 centimetri e del diametro di circa 4 dove veniva inserito l'esplosivo e fatto brillare. La roccia di risulta veniva selezionata; quella idonea veniva squadrata per edificare muri a secco oppure usata per il contenimento di materiale franoso su piccoli valloni. Dopo quasi un secolo dalla loro costruzione è possibile ammirare alcuni di questi lavori ancora in discreto stato di conservazione.
Anche i ricoveri venivano costruiti allo stesso modo, praticando dei fori orizzontali nella roccia e così via, fino a raggiungere l'obbiettivo prefissato.
Una postazione di artiglieria è particolarmente marcata tra casa Conte (ora Rostirolla) e l'attuale trattoria Al Cacciatore, indice della presenza di un grosso calibro (forse un obice da 305). In località Valle a Cornuda esiste ancora una piazzola in cemento del diametro di 5,5 metri con le coordinate di puntamento in buono stato di conservazione che meriterebbe di essere restaurata e conservata come reperto storico a testimonianza delle postazioni di artiglieria in queste zone durante il primo conflitto mondiale.
Nella carta è evidenziato il piano austro-ungarico di invasione del territorio ad ovest del Piave dell'alto trevigiano in maniera dettagliata: la zona compresa nel perimetro tra il ponte di Vidor e Rivasecca (località di Crocetta del Montello), Cornuda, i colli Asolani fino quasi a Crespignaga era denominata Sùlder - Gr.; quella a nord Castelli - Gr.; quella a sud Kanal - Gr., denominazione riconducibile al canale Brentella. La prima zona aveva un'estensione di circa 20 chilometri quadrati e comprendeva parte dei territori dei comuni di Crocetta del Montello, Cornuda, Maser e Pederobba, in cui era dislocata una fitta rete di trincee e camminamenti che superava la lunghezza di trenta chilometri senza tener conto delle stese dei reticolati.
Anche l'alveo del Piave era stato diviso in settori, tenendo in considerazione le morbide del fiume nelle varie stagioni, in modo che i reparti durante il passaggio non si ostacolassero per produrre la massima efficacia offensiva.
L’osservatòrio Marocco fu un punto strategico di osservazione durante la battaglia del Solstizio perché consentiva di indirizzare il tiro delle nostre artiglierie, dislocate in varie zone di Cornuda e dintorni, verso il Piave, specialmente sui punti di traghettamento del nemico.
Venne bersagliato con granate e con tiri a shrapnels (proietto che scoppiava a tempo, in aria, lanciando sul bersaglio numerose sfere di piombo del peso di 9/16 grammi); ancora oggi nei dintorni vengono ritrovate schegge e pallette.
Varie zone di Cornuda vennero colpite dai tiri dell'artiglieria nemica, in special modo la stazione ferroviaria, la Rocca, il centro con il campanile, i luoghi dove erano posizionate le nostre batterie e le principali trincee del luogo.
Le fotografie del tempo testimoniano tale distruzione.
L'arciprete di Cornuda così scriveva da San Vito in data 12 dicembre 1917 al vescovo:”Di Cornuda ho notizie ogni giorno, perchè parecchi dei miei parrocchiani, per vie nascoste, attraverso i campi, vanno ogni giorno vedere. La Rocca è tutta foracchiata, la mia canonica sventrata e quello che v'era dentro tutto distrutto; il campanile è solo leggermente ferito; la mia chiesa è ancora intatta e chiusa; almeno mi rimanesse quella!”.
Il vescovo nei suoi scritti così continua:” Purtroppo non rimase. Cornuda era il nodo più importante dei nostri rifornimenti e quindi fu aspramente battuta dalle artiglierie nemiche. Della chiesa non restano che alcune mura crollanti; nel dicembre dello stesso anno 1918, si vedeva ancora l'affresco dell'abside, opera del De-Santi che rappresentava il patrono San Martino. Il campanile interamente distrutto, la canonica per un terzo diroccata e in modo sconcio manomessa. Andò perduto l'archivio, l'organo e una parte dei paramenti e delle argenterie, come pure un dipinto assai bello della Vergine del rosario di Paolo Lorenzi. L'arciprete riuscì a salvare un prezioso paramento con piviale di broccato d'oro finissimo proveniente dall'antica Certosa del Montello”.
La distruzione di molte opere militari non è stata provocata dalle granate austro-ungariche, ma avvenne negli anni successivi alla Grande Guerra ad opera dei "recuperanti": persone che per sbarcare il lunario giravano i vecchi teatri di guerra recuperando tutto quello che poteva essere riciclato o venduto, così facendo, per fame più che per ignoranza, molte opere in cemento armato furono demolite per poter estrarre il ferro in esso contenuto. Non fu così per l'osservatorio Marocco.
Giuseppe Corso (1912-2006), noto cultore di storia locale, descrive quel luogo in questo modo:”Le Croere le ho scoperte un giorno quando, con i miei compagni di quinta, avevo deciso di andare a raccogliere ciclamini per l'onomastico della nostra Maestra....Attorno a me, sotto il sole, sonnecchiavano le trincee della Guerra 1915-18, ancora intatte. Qua e là si scorgeva qualche ghirba, elmetti, resti di fucili e bossoli abbandonati....In un bunker sconvolto da una granata, attraverso la feritoia ancora intatta, mi appare nuovamente, ma più raccolto ed essenziale, il panorama del Piave e del Montello. A destra della feritoia c'era (e c'è ancora) una scritta graffita sul cemento pochi giorni dopo quella, che i comandi militari avevano definito dodicesima battaglia dell' Isonzo e alla quale il popolo aveva dato il nome di disfatta di Caporetto...”. Il Corso, ultimo di sedici fratelli, aveva vissuto la Guerra da bambino e i ricordi venivano, di giorno in giorno, riscoperti attraverso le narrazioni eroiche di suo fratello “Nino” (Sante 1894-1955).
Sui ruderi dell'osservatòrio Marocco possiamo osservare che il ferro, affogato nel cemento, era in minima quantità, segno evidente della penuria di materiale ferroso dopo la ritirata di Caporetto.
All’interno dell’osservatòrio, a destra, troviamo una targa con la scritta: osservatòrio MAROCCO. Alla sinistra una lapide con questa scritta: DA QUI FISI GLI OCCHI AI CONFINI DELLA SVENTURA RINNOVAMMO LA PROMESSA ALLA PATRIA DI RISCATTARLE CON L’AMORE E COL SANGUE I CONFINI DI DIO MCMXVIII.
Il Corso commenta così quella frase: ”.....Allora capii che, a riscattare tanti errori, restava l'atto d'amore trafuso nelle parole dell'ignoto soldato, scritte cinquant'anni or sono sulle Croere e nelle quali, per rarissima coincidenza, le sorgenti del sacrificio, d'ogni tempo e d'ogni luogo, costituiscono un'unica cosa: solo la Patria, in questa Morte, è tutto”.
Le fotografie dei primi decenni del XX secolo ci mostrano come erano spoglie le nostre colline. Quasi tutto il territorio era un grande pascolo per lo più falciato e curato. Qualche pianta, qua e là, lasciava un po’ d’ombra ai contadini e sui versanti a nord era coltivato il castagno, fonte di cibo e merce di baratto con i prodotti della pianura.
Dopo gli anni 50 cominciò l’abbandono dell’uomo ed il bosco pian piano prese il sopravvento su gran parte del territorio.
Chi si inoltra lungo i sentieri del Sùlder riconosce ancora le trincee della Grande Guerra, ormai franate e invase dagli alberi. Quelle costruite nel piano scomparvero subito dopo la fine della guerra ad opera del genio militare e dei contadini dopo essere state bonificate e solo alcune situate in collina sono rimaste fino ai nostri giorni; da una stima sommaria, quelle visibili, si possono computare a un cinque per cento del totale di allora.
Solo gli osservatòri, alcuni ricoveri e i sentieri si salvano per la passione di alcuni volontari del luogo.
Molti sono gli appassionati, soprattutto nei fine settimana, che a piedi o in bicicletta nei loro itinerari hanno come mèta l’osservatòrio Marocco e il monte Sùlder, posto incantevole da cui l’occhio a 360° gode di un panorama stupendo.
Chi arriva lassù nei mesi di settembre ed ottobre, magari subito dopo un temporale, con un cielo terso, tocca quasi con mano i monti posti a nord e tutto l’anfiteatro della pianura veneta, dalla laguna di Venezia ai Colli Euganei ed Iberici.
È probabile che qualche reparto impiegato nella costruzione o nel presidio delle opere di osservazione e difesa sul monte Sùlder fosse composto da uomini facenti parte della Fortezza Cadore-Maè o che comunque abbiano collaborato a stretto contatto con il Generale sulle Dolomiti. La presenza di Antonio Marocco in varie valli del Cadore, a capo della Fortezza Cadore-Maè dal gennaio 1916 a novembre 1917 si sovrappone alla presenza in quei luoghi, già dall'entrata in guerra dell'Italia e fino a novembre 1917, a quella del tenente Alberto Alpago-Novello. I due ufficiali, con incarichi diversi, lavorarono in sinergia alla progettazione e costruzione delle varie opere di fortificazione del territorio cadorino.
In un rapporto informativo del generale del genio in pubblica amministrazione C. Tiraboschi si legge:”...Credo di aggiungere che il comandante la Fortezza in una delle sue visite ai lavori, ebbe parole di vivo elogio per l'opera attiva del ten. Alpago e per la genialità colla quale era riuscito a dare soluzioni a dettagli a particolari fortificatori di non poca importanza”.
Il colonello della riserva Emilio Tazzer, nel rapporto informativo riguardante il 1° capitano del genio di complemento Alberto Alpago-Novello, nel 1935, così scrive: “Il capitano fu alle dipendenze della 1^ sottodirezione del genio (Asolo) dal novembre 1917 a luglio 1918 quale direttore dei lavori della 1^ sezione, prima lungo le colline difensive Cornuda-Monte Tomba, quindi lungo le colline Asolane per la costruzione di osservatòri, rifugi per batterie in caverna, gallerie, etc.
La costruzione dell'osservatòrio Marocco è stata eseguita dopo Caporetto come dimostra la data MCMXVIII impressa sulla lapide posta all'interno e il nome Marocco sia da attribuire al generale Antonio Marocco, comandante del Genio della 5^ armata dal 27 dicembre 1917.
Anche l'alveo del Piave era stato diviso in settori, tenendo in considerazione le morbide del fiume nelle varie stagioni, in modo che i reparti durante il passaggio non si ostacolassero per produrre la massima efficacia offensiva.
L’osservatòrio Marocco fu un punto strategico di osservazione durante la battaglia del Solstizio perché consentiva di indirizzare il tiro delle nostre artiglierie, dislocate in varie zone di Cornuda e dintorni, verso il Piave, specialmente sui punti di traghettamento del nemico.
Venne bersagliato con granate e con tiri a shrapnels (proietto che scoppiava a tempo, in aria, lanciando sul bersaglio numerose sfere di piombo del peso di 9/16 grammi); ancora oggi nei dintorni vengono ritrovate schegge e pallette.
Varie zone di Cornuda vennero colpite dai tiri dell'artiglieria nemica, in special modo la stazione ferroviaria, la Rocca, il centro con il campanile, i luoghi dove erano posizionate le nostre batterie e le principali trincee del luogo.
Le fotografie del tempo testimoniano tale distruzione.
L'arciprete di Cornuda così scriveva da San Vito in data 12 dicembre 1917 al vescovo:”Di Cornuda ho notizie ogni giorno, perchè parecchi dei miei parrocchiani, per vie nascoste, attraverso i campi, vanno ogni giorno vedere. La Rocca è tutta foracchiata, la mia canonica sventrata e quello che v'era dentro tutto distrutto; il campanile è solo leggermente ferito; la mia chiesa è ancora intatta e chiusa; almeno mi rimanesse quella!”.
Il vescovo nei suoi scritti così continua:” Purtroppo non rimase. Cornuda era il nodo più importante dei nostri rifornimenti e quindi fu aspramente battuta dalle artiglierie nemiche. Della chiesa non restano che alcune mura crollanti; nel dicembre dello stesso anno 1918, si vedeva ancora l'affresco dell'abside, opera del De-Santi che rappresentava il patrono San Martino. Il campanile interamente distrutto, la canonica per un terzo diroccata e in modo sconcio manomessa. Andò perduto l'archivio, l'organo e una parte dei paramenti e delle argenterie, come pure un dipinto assai bello della Vergine del rosario di Paolo Lorenzi. L'arciprete riuscì a salvare un prezioso paramento con piviale di broccato d'oro finissimo proveniente dall'antica Certosa del Montello”.
La distruzione di molte opere militari non è stata provocata dalle granate austro-ungariche, ma avvenne negli anni successivi alla Grande Guerra ad opera dei "recuperanti": persone che per sbarcare il lunario giravano i vecchi teatri di guerra recuperando tutto quello che poteva essere riciclato o venduto, così facendo, per fame più che per ignoranza, molte opere in cemento armato furono demolite per poter estrarre il ferro in esso contenuto. Non fu così per l'osservatorio Marocco.
Giuseppe Corso (1912-2006), noto cultore di storia locale, descrive quel luogo in questo modo:”Le Croere le ho scoperte un giorno quando, con i miei compagni di quinta, avevo deciso di andare a raccogliere ciclamini per l'onomastico della nostra Maestra....Attorno a me, sotto il sole, sonnecchiavano le trincee della Guerra 1915-18, ancora intatte. Qua e là si scorgeva qualche ghirba, elmetti, resti di fucili e bossoli abbandonati....In un bunker sconvolto da una granata, attraverso la feritoia ancora intatta, mi appare nuovamente, ma più raccolto ed essenziale, il panorama del Piave e del Montello. A destra della feritoia c'era (e c'è ancora) una scritta graffita sul cemento pochi giorni dopo quella, che i comandi militari avevano definito dodicesima battaglia dell' Isonzo e alla quale il popolo aveva dato il nome di disfatta di Caporetto...”. Il Corso, ultimo di sedici fratelli, aveva vissuto la Guerra da bambino e i ricordi venivano, di giorno in giorno, riscoperti attraverso le narrazioni eroiche di suo fratello “Nino” (Sante 1894-1955).
Sui ruderi dell'osservatòrio Marocco possiamo osservare che il ferro, affogato nel cemento, era in minima quantità, segno evidente della penuria di materiale ferroso dopo la ritirata di Caporetto.
All’interno dell’osservatòrio, a destra, troviamo una targa con la scritta: osservatòrio MAROCCO. Alla sinistra una lapide con questa scritta: DA QUI FISI GLI OCCHI AI CONFINI DELLA SVENTURA RINNOVAMMO LA PROMESSA ALLA PATRIA DI RISCATTARLE CON L’AMORE E COL SANGUE I CONFINI DI DIO MCMXVIII.
Il Corso commenta così quella frase: ”.....Allora capii che, a riscattare tanti errori, restava l'atto d'amore trafuso nelle parole dell'ignoto soldato, scritte cinquant'anni or sono sulle Croere e nelle quali, per rarissima coincidenza, le sorgenti del sacrificio, d'ogni tempo e d'ogni luogo, costituiscono un'unica cosa: solo la Patria, in questa Morte, è tutto”.
Le fotografie dei primi decenni del XX secolo ci mostrano come erano spoglie le nostre colline. Quasi tutto il territorio era un grande pascolo per lo più falciato e curato. Qualche pianta, qua e là, lasciava un po’ d’ombra ai contadini e sui versanti a nord era coltivato il castagno, fonte di cibo e merce di baratto con i prodotti della pianura.
Dopo gli anni 50 cominciò l’abbandono dell’uomo ed il bosco pian piano prese il sopravvento su gran parte del territorio.
Chi si inoltra lungo i sentieri del Sùlder riconosce ancora le trincee della Grande Guerra, ormai franate e invase dagli alberi. Quelle costruite nel piano scomparvero subito dopo la fine della guerra ad opera del genio militare e dei contadini dopo essere state bonificate e solo alcune situate in collina sono rimaste fino ai nostri giorni; da una stima sommaria, quelle visibili, si possono computare a un cinque per cento del totale di allora.
Solo gli osservatòri, alcuni ricoveri e i sentieri si salvano per la passione di alcuni volontari del luogo.
Molti sono gli appassionati, soprattutto nei fine settimana, che a piedi o in bicicletta nei loro itinerari hanno come mèta l’osservatòrio Marocco e il monte Sùlder, posto incantevole da cui l’occhio a 360° gode di un panorama stupendo.
Chi arriva lassù nei mesi di settembre ed ottobre, magari subito dopo un temporale, con un cielo terso, tocca quasi con mano i monti posti a nord e tutto l’anfiteatro della pianura veneta, dalla laguna di Venezia ai Colli Euganei ed Iberici.
È probabile che qualche reparto impiegato nella costruzione o nel presidio delle opere di osservazione e difesa sul monte Sùlder fosse composto da uomini facenti parte della Fortezza Cadore-Maè o che comunque abbiano collaborato a stretto contatto con il Generale sulle Dolomiti. La presenza di Antonio Marocco in varie valli del Cadore, a capo della Fortezza Cadore-Maè dal gennaio 1916 a novembre 1917 si sovrappone alla presenza in quei luoghi, già dall'entrata in guerra dell'Italia e fino a novembre 1917, a quella del tenente Alberto Alpago-Novello. I due ufficiali, con incarichi diversi, lavorarono in sinergia alla progettazione e costruzione delle varie opere di fortificazione del territorio cadorino.
In un rapporto informativo del generale del genio in pubblica amministrazione C. Tiraboschi si legge:”...Credo di aggiungere che il comandante la Fortezza in una delle sue visite ai lavori, ebbe parole di vivo elogio per l'opera attiva del ten. Alpago e per la genialità colla quale era riuscito a dare soluzioni a dettagli a particolari fortificatori di non poca importanza”.
Il colonello della riserva Emilio Tazzer, nel rapporto informativo riguardante il 1° capitano del genio di complemento Alberto Alpago-Novello, nel 1935, così scrive: “Il capitano fu alle dipendenze della 1^ sottodirezione del genio (Asolo) dal novembre 1917 a luglio 1918 quale direttore dei lavori della 1^ sezione, prima lungo le colline difensive Cornuda-Monte Tomba, quindi lungo le colline Asolane per la costruzione di osservatòri, rifugi per batterie in caverna, gallerie, etc.
La costruzione dell'osservatòrio Marocco è stata eseguita dopo Caporetto come dimostra la data MCMXVIII impressa sulla lapide posta all'interno e il nome Marocco sia da attribuire al generale Antonio Marocco, comandante del Genio della 5^ armata dal 27 dicembre 1917.
Costruzione dell'Osservatorio Marocco (1918)
L'11 marzo 1918 arriva l'ordine di trasferimento al 27° corpo d'armata.
Dovrà sostituire il 12° corpo d'armata francese nella zona dei colli Asolani con giurisdizione, lungo la linea del Piave, da Pederobba alla località antistante la presa 10 nord.
Nei giorni seguenti il comando del 27° corpo si insedia a Villa Clelia a Casella d'Asolo, mentre il comando d'artiglieria presso Villa Rinaldi. In linea vengono dislocate due divisioni: la 66^ tra Pederobba e Rivasecca e la 51^ tra Rivasecca e la presa 10 nord. A metà luglio il territorio di competenza sarà spostato fino alla presa 8 nord.
Il 12 il colonnello Mario Carpinteri con il comando del Genio si trasferisce da Vigardolo (VI) a Crespignaga in casa dell'ingegnere Luigi Bolzon. Si reca poi a Maser presso il comando del 35° battaglione zappatori per conferire sui lavori da porsi al battaglione stesso e riceve dal colonnello del genio del 12° corpo francese la consegna dei carteggi dei lavori eseguiti in precedenza.
Successivamente il comandante del genio si reca in ricognizione nella località di monte Fagarè in compagnia del comandante del 35° battaglione.
L'11 marzo 1918 arriva l'ordine di trasferimento al 27° corpo d'armata.
Dovrà sostituire il 12° corpo d'armata francese nella zona dei colli Asolani con giurisdizione, lungo la linea del Piave, da Pederobba alla località antistante la presa 10 nord.
Nei giorni seguenti il comando del 27° corpo si insedia a Villa Clelia a Casella d'Asolo, mentre il comando d'artiglieria presso Villa Rinaldi. In linea vengono dislocate due divisioni: la 66^ tra Pederobba e Rivasecca e la 51^ tra Rivasecca e la presa 10 nord. A metà luglio il territorio di competenza sarà spostato fino alla presa 8 nord.
Il 12 il colonnello Mario Carpinteri con il comando del Genio si trasferisce da Vigardolo (VI) a Crespignaga in casa dell'ingegnere Luigi Bolzon. Si reca poi a Maser presso il comando del 35° battaglione zappatori per conferire sui lavori da porsi al battaglione stesso e riceve dal colonnello del genio del 12° corpo francese la consegna dei carteggi dei lavori eseguiti in precedenza.
Successivamente il comandante del genio si reca in ricognizione nella località di monte Fagarè in compagnia del comandante del 35° battaglione.
Durante il mese di aprile il colonnello Carpinteri esegue vari sopralluoghi tra Asolo, Alert, Forner, Rech, Era Grande, Mura Bastia. Viene intuito dal comando del 27° corpo la necessità di poter avere dei posti per l'osservazione del nemico più ad est di monte Collalto e viene individuata a monte Sùlder la posizione ideale a tale scopo. I lavori per l'osservazione e la fortificazione riguarderanno non solo la cima ma pure vari pendii e costoni posti in prossimità del monte. Il 4 maggio il comandante del genio si reca in visita ai lavori del costruendo osservatorio a monte Sùlder. Il 6 e il 10 vi ritorna con il maggiore Messina, poi il 12 e il 14. L'osservatorio, vista l'importanza strategica di posizione, viene considerato “osservatorio di corpo d'armata”. Il 15 il s.tenente Tullio Testa ha il compito di riconoscere la linea che da monte Sùlder scende per la valle di San Lorenzo. Il 24 maggio il tenente Luigi De Colle continua i lavori dell'osservatorio. |
Da questa posizione, durante la battaglia del Solstizio e fino alla fine del conflitto, le truppe italiane poterono controllare i movimenti del nemico oltre il Piave, costituendo una spina nel fianco all'esercito austro-ungarico.
Il 1° ottobre il comandante del genio si reca in visita alle caverne e alle gallerie di monte Sùlder per rilevarne la capacità in uomini e l'efficienza delle difese contro i gas.
L'osservatorio sarà additato dal comando nemico come una delle cause maggiori della loro sconfitta finale.
Il 1° ottobre il comandante del genio si reca in visita alle caverne e alle gallerie di monte Sùlder per rilevarne la capacità in uomini e l'efficienza delle difese contro i gas.
L'osservatorio sarà additato dal comando nemico come una delle cause maggiori della loro sconfitta finale.
Una breve descrizione dell'osservatorio MAROCCO con l'ausilio di alcuni schizzi ci aiuteranno a comprendere meglio alcune caratteristiche dell'opera. Possiamo considerarlo una struttura a forma di parallelepipedo regolare se eliminiamo l'irregolarità dello spessore del muro dal lato apertura d'ingresso.
La feritoia per l'osservazione punta verso il centro del ponte di Vidor e l'asse ipotetico che ne deriva forma, con il meridiano a nord che attraversa la cima del monte, un angolo di 45°. La struttura è priva di fondamenta se non per alcuni centimetri ad intervalli irregolari. La soletta sotto l'ingresso ha uno spessore di 8 cm. L'opera ha comportato uno scavo, eseguito a mano, di circa 27 mc di materiale, in maggioranza composto da terra, argilla, conglomerato poco resistente e qualche spuntone di roccia. Il pavimento è in terra battuta. L'armatura per il contenimento del getto di calcestruzzo è stata fatta solo nella parte interna con delle tavole di legno e le pareti interne allo scavo fungevano da contenitore esterno al getto. Le colate di calcestruzzo sono state eseguite a più riprese come possiamo ben vedere in loco. La camera interna è lunga 1,54 metri, larga 1,9 e alta 1,81 metri. Il soffitto era formato da putrelle di ferro appoggiate sui muri opposti nel senso della larghezza, una accanto all'altra con base 8 centimetri ed alte 13. Erano di due tipi: IPE a spigoli vivi ed ali parallele e NP a spigoli arrotondati ad ali interne inclinate. Il muro sopra l'entrata era rinforzato con una trave affogata nel calcestruzzo, il cui spessore sopra le travi variava da 15 a 55 centimetri, il tutto ricoperto da mezzo metro di materiale precedentemente scavato. |
Possiamo considerare siano stati impiegati circa 15 mc di calcestruzzo.
Oltre alle putrelle vennero usati in piccole quantità tondino di ferro liscio da 1 centimetro di diametro e della rete metallica con maglia a forma di rombo molto usata in carpenteria nei primi decenni del novecento ed oggi in voga per recinzioni di opere e strutture datate. Si accedeva all'osservatorio attraverso un camminamento lungo una decina di metri presumibilmente di tipo a blindatura leggera come in uso durante il conflitto in molti camminamenti coperti. Un ricovero di sicurezza era stato costruito nelle immediate vicinanze. La teleferica, che partiva dalla località Castello Cigotto (Muliparte di Maser) e saliva a monte Sùlder, contribuì al trasporto dei materiali occorrenti alla costruzione delle varie opere dislocate sulla cima e nei pressi dell'altura. |
Parte V: Emilio Tazzer
Tra il XIV° e gli inizi del XVI° secolo la Boemia ebbe una fioritura dovuta all'industria estrattiva dell'argento e divenne una delle più importanti regioni dell'Europa per la quantità e qualità del materiale estratto. Dopo il 1540 il progressivo esaurimento delle miniere comportò per la regione una grave crisi economica. Molte famiglie legate a quel tipo di economia furono costrette alla ricerca di lavoro in terre più o meno lontane. Una di queste, i Tazzer, si insediò nei pressi di Agordo dedicandosi ai lavori di estrazione nelle miniere di cuprite e calcopirite di Valle Imperina. I primi documenti relativi a questa famiglia in quei luoghi risalgono a cavallo del 1640. I Tazzer pian piano “colonizzarono” il paese di Rivamonte Agordino ed ancor oggi è uno dei cognomi più diffuso in quel piccolo paese montano posto poco a nord ovest di valle Imperina. Antonio Tazzer ebbe tre figli: Emilio, Antonia e Lucio(1869). Emilio nacque a Rivamonte Agordino il 10 febbraio 1867. Dedito agli studi frequentò la scuola mineraria di Agordo in prima iscrizione nell'anno scolastico 1883-84, iscritto alla classe prima del VI° triennio. Non interruppe mai gli studi e conseguì il diploma di capo minerario e perito minerario il 7 agosto 1866. |
Diplomato conseguì, quattro anni dopo, il titolo di geometra catastale e nel 1890 fu assunto nell'azienda di valle Imperina in qualità di “sopragottomon”, ossia direttore tecnico del sotterraneo.
Fu confermato nella sua posizione da Magni nuovo gestore della miniera, che lo inviò due anni più tardi a dirigere la costruzione dello stabilimento di Bottenighi presso Venezia. Con la stessa funzione fu, dal 1896 al 1898, a Vicenza dove stava per sorgere la nuova fabbrica di Campo Marzo. Rientrato ad Agordo diresse ininterrottamente fino al 1911 la miniera di valle Imperina. Successivamente visitò le aziende minerarie del Messico. Emilio Tazzer ricoprì la carica di sindaco di Rivamonte Agordino dal dicembre del 1905 all'agosto del 1911. Viene nominato Cavaliere con regi decreti del 18 e 23 settembre 1910, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n° 253 del 30 ottobre 1911(pag.7082). Nel 1926 si trasferì a Mestre, dedicandosi alla sua tenuta di Carpenedo. Si spense ad Agordo, dov'era sfollato per sfuggire ai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, nel 1944. |
Stato di servizio di Emilio Tazzer Sul foglio matricolare di Emilio Tazzer, conservato presso l'archivio di stato di Belluno nel registro n°72 a pagina 96 troviamo alcuni dati personali: statura 1,75, occhi castano-grigi, capelli castano. Soldato matricola 13384, 4° alpini allievi ufficiali. In congedo illimitato il primo settembre 1887. Sotto il n° di matricola c'è il n° 6696 seguito da 1° Genio. Chiamato alle armi il 10 novembre 1887. Tale nel 4° reggimento alpini il primo dicembre 1887. Nel plotone istruzione del 1° reggimento genio il 13 dicembre 1887. Caporale il 10 maggio 1888. Sergente il 10 novembre 1888. Inviato in licenza illimitata in attesa della nomina a sottotenente di complemento il 10 maggio 1889. Sottotenente di complemento dell'esercito permanente, arma del genio, con riserva di anzianità …..al distretto militare di Belluno il 30 maggio 1889. Viene nominato tenente (arma del genio) con regio decreto del 12 marzo 1895, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n° 253 del 30 ottobre 1911(pag.7082). Partecipò al primo conflitto mondiale in varie zone del Cadore a disposizione del comando Fortezza Cadore-Maè (comandante generale Antonio Marocco). Dopo Caporetto rimase sui Colli Asolani fino al 6 aprile 1918 per lavori a strade e fortificazioni con il grado di maggiore del genio collaborando nella stessa zona con reparti di quattro corpi d'armata: il 9° fino ai primi giorni di dicembre 1917, il 31° e il 12° francese fino al 14 marzo 1918 e il 27° fino alla sua partenza per Nervesa a disposizione della 2^ Armata. Nei giorni 10, 11 e 12 novembre 1917 esegue varie ricognizioni assieme ad altri ufficiali per il posizionamento delle trincee e la stesa dei reticolati da farsi presso la stazione ferroviaria di Cornuda. Il 24 verifica l’inizio dei lavori dei ricoveri, trincee e il raffittimento dei reticolati presso casa Boschi. Il 29 e 30, con altri ufficiali superiori, visita i lavori di fortificazione a monte dei Frati. Numerose le sue presenze sulla costruenda strada tra Maser e Canale del Vino, tra le quali il 2 e il 16 marzo 1918. Il 19 presso la 1^ sottodirezione lavori 1^ zona in Asolo, riceve la visita del comandante del genio del 27° corpo d’armata per dare disegni e notizie della linea di difesa affidata a quell’ufficio, visitando nel contempo alcune zone, quali palazzo Neville, contrada Canale del Vino, monte Palazzo, ecc. Il 22 marzo si reca a Volpago, a Fanzolo e a Cittadella. Nel dopoguerra fu nominato direttore dei lavori per la ricostruzione delle opere pubbliche, danneggiate dagli eventi bellici, nella provincia di Belluno. |
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Parte VI: Osservatorio Tazzer
La fortificazione di monte Collalto, iniziata il 19 dicembre 1917 da reparti del genio, consta del tracciamento e dell’esecuzione di alcune trincee sul crinale a nord della cima fino alla località El Tombal passando per forcella Fraset, indi, verso ovest, la prosecuzione fino a casa Canale del Vino. Al termine della licenza invernale, il tenente Alberto Alpago-Novello parte da Firenze il giorno 18 gennaio 1918 e rientra ad Asolo il 19 alla 1^ sottodirezione 1^ zona alle dipendenze del maggiore Emilio Tazzer. Il giorno seguente si reca dal maggiore d'artiglieria per ricevere istruzioni sui lavori di fortificazione da eseguire nel territorio di competenza. Il 21 con quattro uomini esegue il tracciamento dell'osservatorio di monte Collalto e inizia il lavoro dello stesso. Ritorna ad Asolo a piedi. Il 22 con otto uomini continua il lavoro agli imbocchi dell'osservatorio e stende alcune linee guida di massima per la prosecuzione dei lavori impostati: la squadra operativa dovrà essere composta da un graduato, da quattro armatori, quattro minatori, quattro manovali sotto la sorveglianza del tenente Koplak. |
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Il lavoro per la costruzione delle gallerie sarà a cottimo: dovrà essere di un metro al giorno da ambo i lati e si pagherà a £ 4, ogni metro in più a £ 8.
Il giorno 23 il maggiore Emilio Tazzer sale, da Maser, a monte Collalto assieme ad Alpago-Novello per prendere visione dei progetti esecutivi e dell'inizio dei lavori. Apporta alcune modifiche, tra le quali l'aumento del numero degli uomini impiegati (16) suddivisi in due squadre su due turni di otto ore, il primo dalle quattro alle dodici, il secondo dalle dodici alle venti. Modifica le dimensioni della sezione delle gallerie riducendole, diminuisce il cottimo maggiorato portandolo a £5, il tutto per abbreviare il tempo dedito alla costruzione dell'opera e contenere la spesa.
Lo stesso giorno il tenente Alpago-Novello sale a Collalto una seconda volta con il tenente Lobetti al quale passa il lavoro dell'osservatorio e il tracciamento del nuovo lavoro (secondo imbocco, pozzo, ecc.). Il 25 verifica lo stato di avanzamento dei lavori dell'osservatorio.
Il 26 l'arrivo del filo per la costruzione della teleferica, messa in funzione in pochi giorni, contribuì con efficacia al trasporto dei vari materiali occorrenti sulla cima del monte.
Il 28 esegue una visita a Collalto in compagnia di Visconti e Daminos. I lavori in galleria subiscono qualche contrattempo in quanto il materiale interessato allo scavo è composto, in massima parte, da conglomerato friabile.
Parte della galleria principale viene puntellata per prevenire il pericolo di crolli. Maggiori difficoltà si incontrano, per lo stesso motivo, durante la costruzione del pozzo e di conseguenza ai progetti originali vengono apportate alcune modifiche.
Il 1° e 4 marzo Alpago-Novello visita i lavori a Collalto e quelli alla strada in costruzione tra Maser e Canale del Vino. Il 12 marzo incontra dei militari nella galleria principale di Collalto. Il 15, il 18 è a Collalto e il 21 e il 24 è con S. M. il re Vittorio Emanuele III°, prima sulla strada e poi all'osservatorio di monte Collalto.
Il 25 verifica i lavori della strada e di Collalto in quanto si avvicina il suo trasferimento del 6 aprile presso il comando della 2^ Armata a Nervesa assieme al maggiore Emilio Tazzer. Da quest’ultimo il nome all’osservatorio Tazzer di monte Collalto.
In questa località, nei primi giorni di aprile, sarà installata una stazione radiotelegrafica ricetrasmittente.
Il 4 giugno il comando del 27° corpo d'armata ordina al comandante del genio Mario Carpinteri la costruzione di una baracca presso l'osservatorio, dell'esecuzione viene incaricato il tenente Luigi De Colle.
Il giorno 23 il maggiore Emilio Tazzer sale, da Maser, a monte Collalto assieme ad Alpago-Novello per prendere visione dei progetti esecutivi e dell'inizio dei lavori. Apporta alcune modifiche, tra le quali l'aumento del numero degli uomini impiegati (16) suddivisi in due squadre su due turni di otto ore, il primo dalle quattro alle dodici, il secondo dalle dodici alle venti. Modifica le dimensioni della sezione delle gallerie riducendole, diminuisce il cottimo maggiorato portandolo a £5, il tutto per abbreviare il tempo dedito alla costruzione dell'opera e contenere la spesa.
Lo stesso giorno il tenente Alpago-Novello sale a Collalto una seconda volta con il tenente Lobetti al quale passa il lavoro dell'osservatorio e il tracciamento del nuovo lavoro (secondo imbocco, pozzo, ecc.). Il 25 verifica lo stato di avanzamento dei lavori dell'osservatorio.
Il 26 l'arrivo del filo per la costruzione della teleferica, messa in funzione in pochi giorni, contribuì con efficacia al trasporto dei vari materiali occorrenti sulla cima del monte.
Il 28 esegue una visita a Collalto in compagnia di Visconti e Daminos. I lavori in galleria subiscono qualche contrattempo in quanto il materiale interessato allo scavo è composto, in massima parte, da conglomerato friabile.
Parte della galleria principale viene puntellata per prevenire il pericolo di crolli. Maggiori difficoltà si incontrano, per lo stesso motivo, durante la costruzione del pozzo e di conseguenza ai progetti originali vengono apportate alcune modifiche.
Il 1° e 4 marzo Alpago-Novello visita i lavori a Collalto e quelli alla strada in costruzione tra Maser e Canale del Vino. Il 12 marzo incontra dei militari nella galleria principale di Collalto. Il 15, il 18 è a Collalto e il 21 e il 24 è con S. M. il re Vittorio Emanuele III°, prima sulla strada e poi all'osservatorio di monte Collalto.
Il 25 verifica i lavori della strada e di Collalto in quanto si avvicina il suo trasferimento del 6 aprile presso il comando della 2^ Armata a Nervesa assieme al maggiore Emilio Tazzer. Da quest’ultimo il nome all’osservatorio Tazzer di monte Collalto.
In questa località, nei primi giorni di aprile, sarà installata una stazione radiotelegrafica ricetrasmittente.
Il 4 giugno il comando del 27° corpo d'armata ordina al comandante del genio Mario Carpinteri la costruzione di una baracca presso l'osservatorio, dell'esecuzione viene incaricato il tenente Luigi De Colle.
L'osservatorio “Tazzer” a monte Collalto rende il concetto di fortificazione se viene considerato come un insieme di opere, manufatti e postazioni che raggruppate avevano la funzione comune di scrutare i movimenti del nemico sulla sinistra Piave, dal suo sbocco in pianura fino oltre Nervesa, sia in tutta la zona del versante sud del massiccio del Grappa, dal Brenta al Piave.
La cresta del monte, per una lunghezza di 150 metri, è posta ad un'altezza tra i 490 e 498 metri sul livello del mare. Sul punto più alto troviamo una stanza incavernata larga 2,5 metri, profonda 2,7 e alta 2 con finestra rivolta verso il Piave e il Montello. E' collegata al pendio ad ovest da una galleria a forma di S della lunghezza di 7 metri, larga 1 e alta 1,8, dalle pareti laterali di roccia ben rifinite. La camera poteva avere la funzione di osservatorio, ospitare un piccolo calibro o essere sede di postazione di mitragliatrice. Poche decine di metri a sud di quest'opera era posto l'arrivo della teleferica impiegata per il trasporto di uomini e materiali vari usati per la fortificazione del monte. Trenta metri a nord della stanza è ancora ben visibile una postazione scoperta di mitragliatrice. Fatti altri 20 metri a nord troviamo un osservatorio incavernato con visione Vidor. |
L'accesso è fornito da una galleria lunga 9 metri a forma spezzata con entrata ad ovest.
Fatti altri cento metri a nord troviamo l'osservatorio “Tazzer”, la cui parte sommitale è posta ad alcuni metri sotto il punto massimo di altezza del monte. L'opera è formata da due gallerie, di cui una principale, da varie stanze interne, da due pozzi e da una feritoia con la funzione di osservazione.
La galleria secondaria con accesso ad est è lunga 15 metri (misurata all'intersezione assiale delle due gallerie), è posizionata sotto un piccolo costone, ha una larghezza media di 1 metro, un'altezza di 1,8 e un dislivello totale di 1,8. Il suo asse forma un angolo di 80° rispetto all'asse del meridiano nord e il punto d'intersezione è il più alto di quota delle due gallerie.
Fatti altri cento metri a nord troviamo l'osservatorio “Tazzer”, la cui parte sommitale è posta ad alcuni metri sotto il punto massimo di altezza del monte. L'opera è formata da due gallerie, di cui una principale, da varie stanze interne, da due pozzi e da una feritoia con la funzione di osservazione.
La galleria secondaria con accesso ad est è lunga 15 metri (misurata all'intersezione assiale delle due gallerie), è posizionata sotto un piccolo costone, ha una larghezza media di 1 metro, un'altezza di 1,8 e un dislivello totale di 1,8. Il suo asse forma un angolo di 80° rispetto all'asse del meridiano nord e il punto d'intersezione è il più alto di quota delle due gallerie.
La galleria principale lunga circa 38 metri, in gran parte crollata, conserva ancor oggi nella parte finale le caratteristiche al tempo della costruzione.
Il suo dislivello era di 2,6 metri, con una media inferiore a quello della galleria secondaria, quasi tutto distribuito sui primi 25 metri dalla sua entrata. Quest'ultima era quindi ad un livello di 0,8 metri inferiore rispetto all'entrata della galleria secondaria che è la sola ad avere l'accesso completamente libero. Dopo averla percorsa, sulla destra accediamo ad una camera larga 2,5 metri e profonda quasi 2 con una finestra di osservazione (0,65 x 0,2 metri) con asse rivolto alla valle di Ron (località tra Valdobbiadene e Funer). L’angolo di osservazione, da questa feritoia, spazia dallo sbocco del Piave in pianura fino alla piana tra Valdobbiadene e Bigolino con orizzonte i pendii del monte Cesen e le colline del Soligo. |
La feritoia, costruita in calcestruzzo, nella parte superiore interna era rinforzata con una putrella tipo NP da 10 x 20 centimetri.
Se invece giriamo a sinistra ci troveremo nella galleria principale molto più ampia e spaziosa (2 metri di larghezza e 2 di altezza) per circa 8 metri di lunghezza.
Alla sinistra della principale troviamo una camera di 2,5 x 2,5 metri, dopo averne percorsi altri 3, sulla destra si presenta la camera (2 x 3 metri) del primo pozzo dalla quale si accedeva all'osservatorio in superficie tramite una rampa a tromba di scale formata da quattro gradoni (1,5 x 1,5 metri) posti in senso antiorario (dal basso verso l'alto) e disposti a circa 90° uno dall'altro a distanza variabile in altezza da 1,8 a 2,8 metri.
L'ultimo gradone, dalla forma irregolare, fungeva da piattaforma con visione a 330° per le osservazioni del caso, in special modo verso il Grappa, il Monfenera e il Tomba. La sua balaustra, attualmente allo scoperto, si trova a 10,2 metri di distanza dai camminamenti sottostanti. I gradoni erano collegati tra loro con delle scale di legno.
Alla distanza di 7 metri dall'asse verticale del primo pozzo si suppone fosse stato costruito, in un tempo successivo per le mutate esigenze belliche, un secondo pozzo, ora totalmente franato, tanto da ostruire la galleria principale.
A fianco dell'uscita in superficie del secondo pozzo è ben visibile una postazione di mitragliatrice parzialmente rinforzata in calcestruzzo.
L’osservazione obbiettiva dell’opera ai nostri giorni ci fa supporre quanto sia stato pericoloso il lavoro svolto durante la costruzione dell'osservatorio “Tazzer” in quanto la roccia compatta si trova solo in alcune zone delle gallerie, il resto è formato da conglomerato che poco si prestava a resistere dopo l’intervento dell’uomo su quel tipo di materiale.
Il tempo e le infiltrazioni di acqua piovana hanno contribuito a vari crolli visibili sia nella zona sotterranea che in superficie.
La parte superiore dei pozzi erano degli efficienti punti di osservazione e degli ottimi camini per il ricambio dell'aria all'interno delle gallerie.
Tutto fa ritenere che le loro sommità fossero coperte da strutture atte alla protezione dagli eventi atmosferici, dai tiri a shrapnels e per l'occultamento alla visione aerea nemica.
Se invece giriamo a sinistra ci troveremo nella galleria principale molto più ampia e spaziosa (2 metri di larghezza e 2 di altezza) per circa 8 metri di lunghezza.
Alla sinistra della principale troviamo una camera di 2,5 x 2,5 metri, dopo averne percorsi altri 3, sulla destra si presenta la camera (2 x 3 metri) del primo pozzo dalla quale si accedeva all'osservatorio in superficie tramite una rampa a tromba di scale formata da quattro gradoni (1,5 x 1,5 metri) posti in senso antiorario (dal basso verso l'alto) e disposti a circa 90° uno dall'altro a distanza variabile in altezza da 1,8 a 2,8 metri.
L'ultimo gradone, dalla forma irregolare, fungeva da piattaforma con visione a 330° per le osservazioni del caso, in special modo verso il Grappa, il Monfenera e il Tomba. La sua balaustra, attualmente allo scoperto, si trova a 10,2 metri di distanza dai camminamenti sottostanti. I gradoni erano collegati tra loro con delle scale di legno.
Alla distanza di 7 metri dall'asse verticale del primo pozzo si suppone fosse stato costruito, in un tempo successivo per le mutate esigenze belliche, un secondo pozzo, ora totalmente franato, tanto da ostruire la galleria principale.
A fianco dell'uscita in superficie del secondo pozzo è ben visibile una postazione di mitragliatrice parzialmente rinforzata in calcestruzzo.
L’osservazione obbiettiva dell’opera ai nostri giorni ci fa supporre quanto sia stato pericoloso il lavoro svolto durante la costruzione dell'osservatorio “Tazzer” in quanto la roccia compatta si trova solo in alcune zone delle gallerie, il resto è formato da conglomerato che poco si prestava a resistere dopo l’intervento dell’uomo su quel tipo di materiale.
Il tempo e le infiltrazioni di acqua piovana hanno contribuito a vari crolli visibili sia nella zona sotterranea che in superficie.
La parte superiore dei pozzi erano degli efficienti punti di osservazione e degli ottimi camini per il ricambio dell'aria all'interno delle gallerie.
Tutto fa ritenere che le loro sommità fossero coperte da strutture atte alla protezione dagli eventi atmosferici, dai tiri a shrapnels e per l'occultamento alla visione aerea nemica.